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Il Gran Sasso d'Italia
Isola di Gran Sasso
antiche storie di acqua e carbonaie

Isola di Gran Sasso, antiche storie di acqua e carbonaieTutta la maestosità e bellezza del monte Gran Sasso
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Svetta per quasi tremila metri, la punta della maestosa catena montuosa del Gran Sasso e lì, ai piedi di Vado di Corno, in passato la più importante via di comunicazione tra il territorio teramano e aquilano, incastonata come una perla, protetta e nel contempo avamposto, si trova Isola del Gran Sasso. La possente montagna, amica silente di chi le abita intorno, da entrambi i versanti, d’estate di un grigio accecante, è cangiante e cambia livrea, a seconda delle stagioni e delle fasce di altitudine. Più a valle, di un verde brillante, d’inverno imbianca, trasformando tutto il massiccio in un solenne gigante immacolato. E tramuta, in autunno, tutti gli alberi in una sinfonia di tinte accese, quasi violente: dal rosso al giallo, all’arancione, macchie di colore che si rincorrono in un foliage sempre unicol loro effetto.

Isola di Gran Sasso, antiche storie di acqua e carbonaie
Isola del Gran Sasso

La montagna del Gran Sasso, i cui primi segni di vita di uomini risalgono al paleolitico superiore, circa quindici mila anni fa, nasconde un segreto, il più prezioso dei segreti. Le rocce del massiccio montuoso, di origine calcarea, a differenza dei vicini cugini Monti della Laga, dove sono argillose e arenarie, filtrano e conservano il bene più pregiato: l’acqua. Lunghissimi corridoi percorrono trasversalmente la catena montuosa ed enormi stanze buie l’accolgono, prima di farla sgorgare in inesauribili sorgenti, cascate, fiumi e rivoli in tutto il territorio circostante, in una natura selvaggia e spesso ancora incontaminata.

La passeggiata nel centro di Isola del Gran Sasso, con le chiese, i monumenti, i palazzetti e gli slarghi, è accompagnata proprio, a tratti, dal gorgoglio dell’acqua, stretto com’è, questo Comune, tra i due fiumi principali, che appena sotto i bastioni fortificati della cittadina, lungo il perimetro esterno orientale, si incontrano, buttandosi il Ruzzo dentro al M0avone e confluendo, più a valle, nel fiume Vomano.

Sorgente del  Ruzzo
Sorgente del Ruzzo

Il fulcro del centro storico di Isola, è costituito da quello che nel medioevo era conosciuto come “Castello dell’Insula”, con i suoi bastioni così vigorosi e riconoscibili, appartenuto ai conti di Pagliara fino al 1340 e in seguito alla famiglia Orsini. Ma è il palazzetto del ‘500, nell’angolo nord-est di piazza Marconi, con il portale in pietra -oggi murato- e la scritta “non solum nobis sed et patriae et posteris” a stupire il visitatore, accogliendolo in un cortiletto quadrato con colonne a capitello fogliato. Gli interni, magistralmente rivisitati dagli attuali proprietari, eredi degli antichi abitanti, presentano dei ricercati forti contrasti tra antico e modernissimo, con la larga scala a chiocciola in legno e cemento bianco, il camino del ‘600, i pavimenti, e una ricca collezione di oggetti e piccoli complementi di arredo, collocati con cura. Ambienti molto raffinati, in netto contrasto con la parte esterna dell’edificio, che dà su viale Duchi degli Abruzzi, anche questa con elementi rinforzati, robusti basamenti a scarpa, tipici delle cinte murarie fortificate.

La cosiddetta “Casa del Barone” il palazzo Henrici-De Angelis, ancora oggi abitato in alcune delle sue parti, rappresenta un’altra di quelle costruzioni possenti nei basamenti, che andarono a creare, nel corso dei secoli, quelle mura di difesa, che si ammirano passeggiando nella parte esterna di Isola del Gran Sasso. Proprio sopra, appena a ridosso, del punto dove i fiumi Ruzzo e Mavone si stringono in un abbraccio confluente.

Casa del barone
Casa del barone

Il palazzo è invero il risultato di un’aggregazione di varie costruzioni, che ne danno l’aspetto odierno. Zona nobile, di rappresentanza, di residenza, ma anche stanze per la conservazione e la trasformazione degli alimenti, come il frantoio, con l’antica macina in pietra. Gli interni del palazzo, con i pavimenti in tipico cotto rosso, custodiscono diversi antichi e preziosi cimeli, messi in bella vista per i visitatori. Riemergono dal passato vestiti sontuosi, scarpe eleganti, ombrellini leziosi, creando un’atmosfera d’altri tempi. Ma anche, tra gli altri oggetti, una rara pergamena, un libro edito nel 1691 e un ricordo, appeso al muro con tanto di foto ingiallite, del “lieto solenne atto”, omologato dalla Corte di Appello dell’Aquila, nel 1911, con il quale il Barone Angelo Henrici diviene figlio adottivo degli zii De Angelis, decidendo così nel contempo anche le sorti del Casato e del palazzo.

Prendendo, da Isola, la strada in direzione della montagna, a pochi chilometri, si trova l’antichissimo paese di San Pietro, le cui origini affondano in alcune vicende storiche. I primi cenni sono di un insediamento preromanico, successivamente di una ricostruzione intorno al 1300-1400 che vide la famiglia Petrucci (da cui il nome) abitare di nuovo il sito. Nel Catasto Onciario del regno di Napoli, nel 1745, il paese contava 140 persone e 1400 tra pecore, capre, mucche, asini, buoi e scrofe. Dai racconti dei pochi abitanti rimasti sul luogo, discendenti delle antiche famiglie, emerge su tutto la fatica e il grande lavoro degli abitanti del passato. Questi hanno dovuto strappare alle pietre, a via di vanga, un territorio per la coltivazione, per la sopravvivenza. Una storia densa di economia montana, vite difficili, scandite dal duro lavoro. Inerpicato com’è il paese, su una cima, hanno dovuto soffrire per ogni singolo spostamento, aguzzando l’ingegno. Così si narra di una strada del latte: un insieme di coppi del tetto, messi a scalare, dalla cima del monte fino alla piazzetta centrale del “Mandrone”, che creava un facile scivolo per il latte delle mandrie di mucche (da cui appunto il nome) e delle pecore, che venivano tenute nei pascoli alti. Il latte, oltretutto, sarebbe diventato burro, se lo si fosse spostato, in altro modo, con quei dislivelli. Il paese oggi è poco popolato e come sempre, in questi posti, accanto a case di solida antica pietra restaurate ad arte, convivono case fatiscenti con perimetri che custodiscono per lo più alberi cresciuti all’interno. Ma a rinverdire il paese sono dei murales che riportano le vicende passate, narrate in due libri di Lucia Marcone “La donna del carbone” e “La donna scalza”. Sì perché questa zona, nel passato, era vocata al carbone, che rappresentava la maggiore risorsa di sussistenza. Cataste di legna fatte bruciare nelle carbonaie, nelle radure dei boschi, sottraendo ossigeno, per creare il prezioso combustibile.

Panorama del Gran Sasso
Panorama del Gran Sasso

E una ripida ed accidentata “via del carbone”, con un dislivello di sessanta metri, ripidissimi, da San Pietro fino ad Isola, dove i beni venivano barattati. Si portava giù carbone, anche per conto di qualcun altro, e si riportava farina, fieno, oppure coppi, in cambio di un pezzo di pane. Si legge su un murales: “Io donna ero una donna di carbone. Ho vissuto tutto il nero della terra. Neri i capelli, i vestiti, le mani, i nostri letti erano sempre sporchi, anche quando partorivamo i nostri figli.” Anche perché, ironia della sorte, in questo paese, pur con un territorio ricchissimo di sorgenti, anche l’acqua era un bene da doversi procacciare con fatica. Infatti, anche la prima captazione, intorno a primi del 1900, della sorgente dell’Acquatina, vicinissima a San Pietro, fu realizzata solo in favore di Isola del Gran Sasso. A san Pietro, l’acqua corrente arrivò quaranta anni dopo, quando già l’esodo, uno dei tanti a ondate, l’aveva quasi spopolato.

Poco più in là, tra il paese di San Pietro e la strada di selci che porta alla captazione della sorgente dell’Acquatina, si trova il cosiddetto “museo dell’acqua”, meta di numerose gite di istruzione di vocianti scolaresche, il Centro per le acque del Gran Sasso e Monti della Laga. Al suo interno viene spiegata la storia del territorio e soprattutto quella delle acque che rappresentano la cifra distintiva di tutta la zona montana circostante.

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